ShadowIT – Da dove arriva e come uscirne
Di Shadow IT se ne parla da parecchio tempo. Forse il termine è un po’ troppo generico e bisognerebbe parale di Shadow BI e Shadow Data. Difficilmente un utente realizzerà un’applicazione che gestisce un processo, è troppo complicato, ma più semplicemente può arrivare alla produzione di un’informazione senza transitare completamente dai sistemi aziendali.
Questo, lo sappiamo, porta non solo ad una serie di problematiche che riguardano il fatto che l’IT viene esautorata generando una mancata valorizzazione delle competenze, ma anche ad una perdita di Data Governance e sferra un “colpo basso” a tutto il concetto di Data Strategy.
Un’informazione che non proviene da uno strumento aziendale non è un’informazione certificata e quindi deve essere di volta in volta validata e riconciliata con il patrimonio informativo aziendale. Compito che spesso, “alla sprovvista”, arriva sul desk dell’IT.
Quante volte mi sono trovata anche solo di fronte al mostruoso foglio Excel da 5GB pieno di macro e a qualcuno che mi chiedeva di dipanarlo per ricondurlo in “ambito aziendale”?
Solitamente la persona che lo produceva era aziendalmente scomparsa e solo dopo ci si rendeva conto che quell’asset, fino a quel momento, era comparso ogni fine mese quasi per magia.
È così che tutto è cominciato, con le estrazioni massive dai sistemi di reporting per poter fare elaborazioni che non venivano fornite dai sistemi centrali. Sì lo ammetto, stiamo ancora parlando del secolo scorso, ma per comprendere il fenomeno è necessario comprendere la sua genesi. Allora, ogni modifica ad un modello analitico, o anche semplicemente l’esposizione di un nuovo KPI su un report, chiedeva mesi di sviluppo e un budget non trascurabile. L’impatto però che questo avrebbe avuto sul futuro è stato ampiamente trascurato.
Dalla rielaborazione del dato aziendale, all’aggiunta di fonti esterne non armonizzate con il modello dati analitico, il passo è stato incredibilmente breve.
Fino a questo punto il fenomeno non si meritava ancora il titolo di Shadow IT, dato che venivano impiagati solo strumenti di informatica individuale, quello è arrivato con un’altra esigenza incredibilmente sottostimata da tutto il panorama IT… I COLORI!
Era sempre tanto tempo fa, stavo realizzando un sistema di DWH per una struttura pubblica di prevenzione, quando il cliente mi chiese di visualizzare i morti in rosso in un report. All’epoca non era possibile colorare condizionalmente una cella. I primi strumenti in grado di farlo comparvero un po’ di tempo dopo e con essi cominciarono anche a comparire i “serverini” sotto le scrivanie dei business users.
Due elementi sono stati sottovalutati che hanno aperto le porte alla Shadow BI e agli Shadow data:
- La necessità iniziale di passare da report da leggere a report da guardare, per passare poi successivamente ad un approccio data Discovery.
- La capacità degli utenti finali di trovare soluzioni in autonomia
Troppe volte sento dire che gli utenti dei sistemi analitici “non sono capaci”, riferendosi almeno in parte agli stessi utenti che hanno messo in piedi sistemi analitici occulti e talvolta perfino dei sistemi di pianificazione.
Nell’ultimo periodo questo conflitto è esacerbato dal fatto che molti strumenti sono in grado di funzionare su un pc abbastanza potente, molti altri sono in cloud e forniscono le funzionalità di base gratuitamente, mentre l’espansione a licenza full costa pochi euro.
Ora però è possibile rispondere a questa situazione con soluzioni aziendali adeguate, che sono in grado di coniugare funzionalità di Self-Service e Governance.
Nell’ultimo periodo questo conflitto è esacerbato dal fatto che molti strumenti sono in grado di funzionare su un pc abbastanza potente, molti altri sono in cloud e forniscono le funzionalità di base gratuitamente, mentre l’espansione a licenza full costa pochi euro.
Ora però è possibile rispondere a questa situazione con soluzioni aziendali adeguate, che sono in grado di coniugare funzionalità di Self-Service e Governance.
Dove il concetto di Self-Service non si limita alla possibilità di definire una reportistica specifica con grafica accattivante e con una serie di calcoli definiti a front-end, ma anche la possibilità di poter mettere a disposizione, di una certa tipologia di utenti, dei laboratori in cui sperimentare liberamente. La sperimentazione può riguardare anche l’introduzione di nuove fonti e quindi consentire di effettuare all’interno del sistema tutte quelle attività di armonizzazione che tendenzialmente vengono fatte nel foglio Excel. Tali attività, come transcodifiche, cambi di granularità, pivot e unpivot, sono necessarie per rendere le fonti dati tra loro correlabili arrivando alla definizione del modello analitico con un approccio bottom-up.
L’approccio bottom-up all’analisi del dato è relativamente nuovo ed è figlio dell’approccio data discovery. In passato l’innesco nella produzione di un’analisi è sempre stato una domanda alla quale dovevamo dare una risposta. Partendo dalla domanda andavamo alla ricerca delle fonti che potevano
concorrere alla definizione della risposta. L’approccio data discovery ha ribaltato il paradigma portandoci a guardare i dati per individuare le domande prima ancora delle risposte. L’approccio bottom-up, che parte dalla disponibilità di un dato
e mi consente di procedere per raffinamento successivo, aggiungendo e trasformando, è quello che mi supporta nella scoperta di qualcosa di inedito.
Gli stessi ambienti innovativi supportano anche l’accesso alle informazioni che solitamente definiamo come “Corporate Reporting”, rendendo omogenea l’esperienza utente ed agevolando la condivisione anche tra utenti con livelli di interazione differenti.
L’accesso al dato aziendale è governato centralmente senza estrazioni garantendo in questo modo gli aspetti di sicurezza, tendenzialmente “agganciati” ai ruoli aziendali anche quando l’analisi vene condivisa.
I dati esterni vengono caricati nel sistema e questo consente di averne traccia centralmente, oltre a rendere molto più semplici eventuali attività di quadrature che si dovessero rendere necessarie.
Questi strumenti di Self-Service Reporting e Self-Service Data Wrangling sono la chiave di volta per superare le problematiche connesse allo Shadow BI e Shadow data.
Il primo passo, però, è quello di ammettere l’esistenza del problema: pensateci la prossima volta che qualcuno vi chiede uno scarico dati o, in modo più subdolo, l’accesso alla tabella o il report di dettaglio che non avrà mai il tempo di leggere…
…e poi chiamatemi!